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Pregiudizi e finzioni

Ricorderete tutti la vicenda che ha portato ad una conversazione a favore di telecamera il direttore del Museo Egizio Christian Greco e Giorgia Meloni.

La polemica, e il seguito, nacquero dal lancio di una politica inclusiva del Museo che aveva comunicato sconti per i visitatori di lingua araba.

Ebbene, la vicenda arriva al suo traguardo legale.

L’articolo sintetizza — per la mia sensibilità con malagrazia poco empatica nei confronti dei colleghi preoccupati — la questione del problema della gestione ai tempi del Coronavirus, con una semplificazione volta a vedere nel museo “privato” il male tout court, e nella gestione del museo “pubblico statale” il bene, a prescindere.

Aveva avvertito, dice.

Vi si citano storicamente i ministri del Mibact che in qualche modo hanno supportato o accondisceso la genesi della possibilità di una forma giuridica particolare per alcuni musei, che hanno quindi potuto godere di una governance afferente al diritto privato (il patrimonio, come noto, è e resta pubblico), che sarebbero stati diversi da quelli statali, gestiti da personale e budget del Ministero, centralmente, con concorsoni di durata imperscrutabile, eccetera.

Riferisce di come la presidenza della Fondazione e il suo direttore, Christian Greco, a fronte dei mancati incassi dovuti alle restrizioni legate al Coronavirus, abbiano allertato il Ministero sulla difficoltà di proseguire nella cura delle collezioni, senza un sostegno per i mancati introiti legati ai perduti 1.500 ingressi medi giornalieri.

Come può accadere che un caso esemplare e virtuoso in molti sensi, primo fra tutti la capacità di essersi aperto ad un grande pubblico, di garantire la propria sostenibilità e ricerca in autonomia, di essere parte di reti internazionali, diventi in un attimo esecrabile proprio per il tipo di governance in questo momento di fragilità inevitabile?

Solo per pregiudizio. Sollecito, ma davvero per onestà intellettuale e per il bene del paese, a farci altre e diverse domande. Vere.

La capacità delle istituzioni italiane che si muovono come fondazioni, e quindi sulla base del diritto privato, fra le quali non posso non citare anche il MAXXI di Roma, Palazzo Strozzi a Firenze, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, è davanti agli occhi di tutti, per reputazione, capacità innovativa, numero di dipendenti — con varie e diverse job description- visione e snellezza.

Fra questi certo spicca il Museo Egizio di Torino.

Non si possono invece cantare parimenti con facilità le glorie dei musei statali, che — prima dell’arrivo di una pur limitata autonomia a seguito della riforma Franceschini — si portavano appresso allestimenti e visioni del secondo dopoguerra, con una evidente incapacità di guardare al futuro, anzi di stare al passo con i tempi. Mi sbaglio?

Quindi statali, pubblici, sì, ma disfunzionali, superati, in particolar modo a causa dell’essere imbrigliati e irregimentati nella selezione del personale, e di particolari figure e competenze, con esiti dannosi e di lunga gittata.

Solo con l’arrivo dell’autonomia controllata — che pur tanti dubbi ci aveva fatto insorgere, è vero — , grazie a direttori coraggiosi ed infaticabili, e mi verrebbe da dire “nonostante” la pesante e ancora esistente burocrazia statale, sono tornati ad essere luminose e parlanti parti dell’oggi (e sì, cito la Pinacoteca di Brera di James Bradburne, La Galleria Nazionale di Roma di Cristiana Collu, il MANN di Napoli di Giulierini, le Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Flaminia Gennari Santori a Roma, su tutti, ma per tutti). Non ci sorgono delle domande?

Aperti al mondo. “Usateli, sono vostri” è il messaggio. (Ringrazia anche Neal Stimler, ospite della mia rubrica su Artribune, pubblicato in inglese anche qui).

La rete e i musei sono luoghi di ricca, democratica, libera formazione e ricerca, nutrimento dell’industria creativa?

Non dipende dalla loro “pubblicità” per statuto e governance, ma da quel che portano avanti, in idee e azioni che nascono imprescindibilmente dalle persone e dalle competenze messe in gioco.

Anche i musei statali stanno facendo un mancato incasso, del resto, ora. Mi pare fuor di dubbio. Come potrebbero fare altrimenti? Il sostegno statale non sarà anche per le aziende private?

È ora di dismettere i pregiudizi. Se amiamo i musei statali è il tempo di trovare delle forme di pubblicità, accessibilità e restituzioni vere; di consentire loro un allargamento aggiornato e agile dei profili professionali necessari, caso per caso.

Il giudizio sarebbe sui risultati e dovrebbe prescindere dalla forma di governance: ogni istituzione dovrebbe essere dotata di un potenziale pari equipaggiamento.

Volevo parlare di licenze Creative Commons, ma mi sembrava più urgente questo.

Ci tornerò su, con Mirco Modolo.

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